Articolo musicale per il periodico Vulcano
(pubblicato sul n.66, marzo-aprile-maggio 2010)
"AFTER THE GOLDRUSH" NEIL YOUNG (1970)
Quarant'anni fa il canadese da il via alla pubblicazione di uno dei suoi
capolavori musicali: "After the goldrush" ('Dopo la corsa all'oro'). E' il
terzo album, di una lunga discografia, che lo impose all'attenzione
mondiale. Young, in seguito, riuscirà raramente a cogliere
l'ispirazione e la freschezza contenute in questo disco.
di Tonino Uscidda
Nonostante il carattere enigmatico e i numerosi fallimenti della sua carriera, Neil Young
(Toronto, 12 novembre 1945) è unanimemente considerato il personaggio chiave della
svolta negli anni Settanta e della proliferazione dei «cantautori» americani nell'era post-
psichedelica. In molti furono poco teneri con lui quando entrò a far parte del già celebre
gruppo Crosby, Stills e Nash nel 1970, sottolineando l'interesse soprattutto finanziario
dell'operazione, ma dovettero ricredersi di fronte al lavoro finito dell'album Dèjà Vu dove
i due capolavori del canadese, «Carry On» e «Helpless», surclassarono di gran lunga le
composizioni degli altri tre.
After the goldrush è dello stesso anno di Dèja Vu e la stragrande maggioranza dei
referendum di quell'anno lo indicarono come il migliore album. Ci fu anche chi scrisse
che Crosby, Stills e Nash insieme non valevano quanto Neil Young da solo. La brillante
concezione di quest'album (ispirato al film After the Goldrush di Dean Stockwell e Herb
Berman) e le straordinarie melodie composte da Young lo fanno ritenere uno dei migliori
in assoluto di tutti gli anni Settanta. Decisivo fu anche l'apporto di Nils Lofgren e dei
Crazy Horse, un gruppo che avrebbe continuato a lavorare con Young per molti anni nel
bene e nel male.
Fu grazie ad After the goldrush (pubblicato nell'agosto del 1970) che la popolarità di Neil
Young oscurò parzialmente quella di Crosby, Stills e Nash, avviati in fretta verso "l'auto
disintegrazione". I successivi lavori di Young non mostrarono comunque ulteriori
progressi, anzi, la sua carriera, a quel tempo, sfiorò ripetutamente la fine a causa di vari
motivi: tra questi, la grande crisi che lo colpì in seguito alla morte per overdose del
chitarrista dei Crazy Horse Danny Whitten e del roadie Bruce Berry e i persistenti attacchi
di epilessia e diabete.
Le melodie affascinanti, gli arrangiamenti semplici e misurati, il sapore agreste e i temi
ermetici di visionario caratterizzano questo capolavoro musicale composto da una
sequenza avvincente di undici brani. E «Southern man», unico brano nervoso dell'album,
è li a dimostrare che la dolcezza, nel canadese, non cancella mai nè la rabbia, ne
l'impegno sociale, ne il Rock.
Passate le grandi speranze degli anni Sessanta, Young anticipò a modo suo il riflusso
degli anni Settanta. C'è un ripiegamento poetico in se stessi, una riscoperta della natura e
soprattutto un così grande senso di solitudine in questa opera da renderla assolutamente
unica. Ci sono dischi splendidi che si fanno ascoltare dieci, venti, trenta volte e poi si
«svuotano» da soli. Ce ne sono altri, e tra questi After the goldrush, che superano senza
danni centinaia di ascolti.
In quel periodo di lui diranno: «Parole come amabile, bello, romantico non possono
essere spesso applicate a un album rock, ma non ci sono neppure molti album come
After the gold rusch. E' un gioiello fragile e delicato. Nei momenti migliori del disco la
voce disarmante e soffice di Neil, la strumentazione frizzante sono parentesi dolci e quasi
terapeutiche in quest'epoca di aggressione a base di rock». Così scriverà il giornalista
musicale Robert Hilburn sul Los Angeles Times, nel settembre '71, a proposito di After
the goldrush. Oltre a innumerevoli attestati di questo genere, il disco fu votato nel
referendum della rivista Melody Maker come miglior album dell'anno, mentre Young ebbe
il riconoscimento come numero 1 nelle classifiche degli interpreti e degli autori.
E' alquanto singolare che tematiche così personali come quelle affrontate dal canadese in
questo disco abbiano trovato un riscontro talmente vasto, si direbbe «universale», tra il
pubblico. Young nelle sue canzoni sembra scartare qualsiasi ipotesi di riscatto e perfino
l'amore, le poche volte che ci si può contare, non basta a risollevare l'animo dalla
malinconia.
«I Believe in You», «Southern Man», «Don't Let It Bring You Down», «After the
goldrush», «Tell Me Why» e «Till the Morning Comes» sono autentici capolavori di uno
dei personaggi piú contradditori ed enigmatici di un'epoca ugualmente nebulosa e afflitta
come quella a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta.
La copertina dell'album
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L'immagine interna della copertina e il disco in vinile
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(Album collezione Uscidda)
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